
“PAROLA E PAROLE” favola di Antonio Resta
PAROLA E PAROLE
Resoconto di una seduta del Parlamento animalesco…
Erano passati alcuni anni da quando, nella foresta, si era scelta la nuova Carta costituzionale che prevedeva la istituzione della Monarchia assoluta, con la concentrazione, di fatto, di tutti i poteri (legislativo ed esecutivo) nella persona del Re (il leone).
Una ventata nuova, intanto, si stava abbattendo su tutte le foreste, con l’istanza sempre più pressante di una maggiore partecipazione del popolo alla gestione della “Cosa pubblica”: la forma di governo democratica non era più rinviabile e, per usare una frase storica che era risuonata nel primo parlamento (umano!) subalpino, non si poteva essere “insensibili al grido di dolore che si levava da tante parti”.
I politologi si scatenarono nel proporre le varie soluzioni, ognuno, ovviamente, presentando la sua come la migliore.
Non si discusse più (il problema era stato risolto) sulla scelta tra monarchia e repubblica, quanto sul potere da attribuire al primo ministro, con conseguente limitazione di quello del sovrano. Si parlò, tra l’altro, di semipresidenzialismo, suscitando la facile ironia, puntualmente tradotta in vignetta, con il riferimento all’ olio di semipresidenziale…
Si convocò l’assemblea costituente, con il compito di redigere la nuova costituzione (animalesca!) tenendo presenti tutte le istanze (la ventata di cui si parlava) che erano sorte in conseguenza del progresso della civiltà e riguardanti in primo luogo i diritti umani.
Dopo il saluto inaugurale, si cercò un motivo che potesse unire l’assemblea: almeno, si disse, si poteva cantare unitariamente.
Il richiamo al canto portò immediatamente alla scelta dell’inno nazionale e fu proprio il momento in cui la scelta naufragò e l’illusione di cantare “insieme” si rivelò tale fin dall’inizio delle prime battute. Le stonature delle varie voci si rifletterono sulla scelta dell’inno: ognuno ne propose uno e le dissonanze musicali fecero compagnia a quelle dei vari testi presentati.
Del resto, come era possibile armonizzare il raglio dell’asino, il nitrito del cavallo, il muggito del bue, il barrito dell’elefante, il belare delle pecore…senza contare i versi dei vari uccelli?
Si proseguì, tuttavia, nel lavoro della scelta.
Si scartò subito, anche se un nutrito gruppo di parlamentari lo sosteneva, il coro del Nabucco di Verdi Va’, pensiero…Il suo inizio, affermò un deputato, ovviamente contrario alla sua scelta, fa venire in mente l’inizio di una…augurante giaculatoria laica, con la richiesta e l’auspicio di un viaggio in un paese o, se preferite, in un luogo, nei secoli passati tenuto rigorosamente al buio, ma oggi più che mai esposto e addirittura oggetto di trattazione da parte di un autore, un regista precisamente, specialista in questa tematica, che vi ha steso un trattato: non so se, nella sua competenza, rientri anche quella della cucina, definita tecnicamente culinaria…La sua trattazione deve essere solo terrestre…
Per una più approfondita conoscenza della materia, è sufficiente prestare attenzione al labiale dei calciatori nei confronti dell’arbitro durante le partite di calcio per certe decisioni del direttore di gara, non condivise.
E poi (altro argomento validissimo), posto che vada, (l’eventualità la personalizzo…) dietro consiglio o imposizione, sono sicuro di trovare qualche posto ancora libero? Mi è doveroso annotare, comunque, che questo argomento presentava qualche perplessità e qualche dubbio.
Io, osservò in privato un animale, approvo il rigetto di quell’inno per una ragione molto semplice: quel va’! lo si rivolge a tutti e, perciò, se tutti attuassimo quel comando, ci ritroveremmo nella stessa situazione di prima, quindi, ci dovrebbe essere il contrordine: ritorna!
La speranza, assai debole, in verità, potrebbe essere quella che qualcuno, deludendo il desiderio del mittente, ritorni e…lasci caldo il posto al prossimo arrivato.
Per farvi vedere che sono aggiornato, aggiungo che la fervida fantasia dei giornalisti ha assegnato a…quel posto al buio una coordinata (si dice così?) geometrica definendolo “lato B”: non mi domandate il perché. Le mie nozioni in merito (geometrico!) sono molto carenti.
Mi raccontava un amico, con un riferimento personale, sempre in merito a questo argomento, di un’esperienza vissuta direttamente: è proprio il caso di dire: sulla propria pelle.
Gli era stato prescritta una cura, da fare per iniezioni: il posto dove normalmente si opera…lo sapete quale è: anche le modalità. Le si iniettano…a fasi alterne. Un giorno, nel momento dell’…augusta operazione, ha indicato la parte che doveva essere interessata. L’operatore, con decisione, lo contestò, affermando che doveva essere l’altra parte, portando come argomento che lui era molto fisionomista. Anche un esperto “fissaimmagine”, penso, si sarebbe trovato in difficoltà a distinguere le due in questione: così simili!
Da allora mi sono sempre arrovellato il cervello su quale poteva essere stato il motivo…estetico di tale fermezza e decisione, nonché di tanta incancellabile impressione. Con l’aggiunta di un senso di rabbia per non poter anch’io rendermi conto di questa… prelibatezza estetica per la sua naturale collocazione irraggiungibile da chi la possiede.
La digressione…umana riguardava il motivo della non accettazione di quell’inno: fu in pieno condivisa dagli animali: le argomentazioni erano differenti, ma…il luogo era quello, anche per loro.
Io, riprese un animale, all’atto della votazione, mi sono espresso per l’altro inno che era stato proposto: mi sembrava più adatto e per diversi motivi: l’inno era Il Piave mormorava…
Il primo motivo era il più nobile ed era legato all’epica battaglia che pose fine alla prima guerra mondiale, sanzionando definitivamente i confini della Nazione che da Petrarca, erano stati disegnati con due versi che valgono una lezione di geografia: Il bel paese che l’Appennin parte, il mar circonda e l’Alpe…Costituiva, ed a ragione, un motivo d’orgoglio per il cittadino italiano che aveva potuto contare sull’eroismo di tanti suoi connazionali morti su quei campi di battaglia.
Una seconda ragione, meno nobile, ma sicuramente legata all’indole di un popolo, quello italiano, era costituita da quel “mormorava” del fiume che quasi lo cullava, lo vezzeggiava perfino e una giustificazione c’era, sicuramente.
Quel “mormorare” sembrava traducesse in pieno il modulo del nostro camminare, quasi una marcia con il sottofondo di questo motivo musicale, un accompagnamento si direbbe “incorporato” alla nostra costituzione biologica.
Non potrebbe essere questo, pensai dentro di me, l’inno che riprodurrebbe in pieno il nostro modo di pensare e di agire?
La mia risposta non poteva essere che positiva: lo votai, ma il risultato non mi fu favorevole.
Fu scelto, come provvisorio, l’inno attuale: tanto provvisorio che dura ancora…
A governo costituito, ci fu un incidente, proprio in merito alla costituzione
Si festeggiava a Roma il raduno degli omosessuali il Word gay pride. Le critiche che lo precedettero furono violente e numerosissime e richiamarono l’attenzione del governo, chiedendone addirittura un intervento che lo impedisse.
Il capo del governo, nel nostro caso un animale, esponendo la posizione dell’esecutivo, aggiunse che la dimostrazione non poteva essere impedita perché purtroppo la costituzione lo permetteva.
Si discusse molto sulla inopportunità di quel purtroppo, soprattutto in rapporto alla persona che l’aveva pronunciata e per le conseguenze che ne erano derivate. In merito al soggetto la meraviglia fu ancora più grande considerando che passava come uno dei più profondi conoscitori e più fini cultori del diritto, tanto da essere definito il “dottore sottile”. Il discorso si allargò sul diverso significato che la parola acquista a seconda del contesto e della persona che la pronuncia: pensate un po’ che effetto produce nel caso la pronunci, per esempio, un medico…
Anche il tema ebbe modo di attirare l’attenzione e, dalla sua conoscenza “per sentito dire”, si passò a un approfondimento che non ebbe più le remore del passato…diventando, addirittura, “orgoglio”, con manifestazioni e con satire pesanti, perfino blasfeme.
L’argomento si trasferì così in parlamento e, come era prevedibile, suscitò animatissime discussioni. Solo che, forse presi dalla foga, o a causa della scarsa conoscenza della tematica, alcuni interventi non potettero far altro che suscitare ilarità.
Avvenne subito. All’ordine del giorno c’era per esteso il titolo dell’argomento, solo che qualche oratore, forse per brevità, continuava a parlare di “omo”, senza l’aggiunta che lo specificasse. Non vuoi che ci fu qualcuno che cominciò a mugugnare, protestando perché si stava svilendo il Parlamento, riducendolo a un supermercato, con la vendita di un detersivo, privilegiato a differenza di altri?
Gli amici di partito, per spirito di corpo e per difenderne l’onore, si premurarono, in privato, di spiegare il significato di quel “omo” non riconducile alla nota marca del detersivo, col quale non aveva nessun legame. Era, invece, una parola greca che significa “lo stesso” e denota (mi servo del vocabolario) “l’inclinazione erotica verso soggetti del proprio sesso”, tanto per quanto riguarda gli uomini come per le donne. Non riguarda, perciò, solo l’uomo (potrebbe trarre in inganno quell’“omo”), ma anche la donna, per la quale non si deve dire “oma”. In un altro contesto, quando ci riferiamo allo “stesso” nome, non usiamo il medesimo prefisso dicendo “omonimo”?
Ma in un’altra seduta avvenne un fatto ancora più grave, particolarmente offensivo nei riguardi di queste persone che meritano rispetto e comprensione.
Mentre continuava il dibattito su questo tema, importante, peraltro, per i riflessi che poteva avere sulla vita pratica delle persone e della società, si dovette registrare, con sorpresa generale, l’intervento di un deputato che cominciò a parlare dei diritti dei lavoratori dei campi, segnatamente degli ortolani, costretti a vendere la loro merce, facilmente deperibile, a prezzi tutt’altro che remunerativi. Eppure il loro prodotto, aggiunse, specialmente quello a coltivazione mediterranea, ha un sapore inimitabile.
Il presidente di turno si vide costretto a togliere la parola all’intervenuto, perché non pertinente al tema dell’ordine del giorno.
Anche qui, davanti alle proteste per l’“arroganza” di chi dirigeva la seduta, a motivo di quell’intervento “dittatoriale” che aveva interrotto il suo discorso, dovette seguire una chiarificazione sul motivo dell’attribuzione del nome di quell’ortaggio a chi manifesta quella tendenza. A dilucidazione avvenuta, il deputato si convinse che, in realtà, il suo intervento sull’agricoltura era del tutto fuori posto, almeno in quel contesto.
Peccato! Perché la sua competenza “finocchiara” avrebbe potuto portare degli incentivi e un promettente rilancio al prodotto…incriminato.
Non è dato sapere se era favorevole o contrario, in ogni caso, quella pianta che sicuramente si trovava nel suo orto, quale trattamento avrà avuto in seguito…
Sempre in tema di ortaggi, è l’occasione buona per ricordare un episodio che, nonostante legato sempre a questi prodotti orticoli, si colloca decisamente in un’altra ottica.
Va raccontato. Sono implicati due ortaggi: la zucca e le rape. Lasciamo alla zucca, il compito del racconto.
Un giovane insegnante di Religione in un istituto magistrale, si recò a scuola per tenere la sua lezione a una classe, ovviamente tutta femminile. Aveva tagliato i capelli e il barbiere aveva usato generosamente la forbice: erano risultati particolarmente corti.
Un’alunna ebbe a ridire proprio su quel taglio, con una domanda di per sé innocua, ma che si prestò a un’aggiunta che fece una seconda intervenuta.
Ha tagliato i capelli! disse la prima, non vedi, aggiunse la seconda, che zucca è scappata fuori?
La risposta-commento dell’insegnante fu immediata, fulminea. Apposta, disse, i superiori mi hanno mandato in questo campo di rape, aggiungendo che, come zucca, si trovava proprio a suo aggio.
Ci fu una risata generale, cui seguì addirittura un applauso.
Ci si convinse ancora di più che gli ortaggi, al di là di qualche attribuzione, comunque immeritata, possono unire molto di più di qualsiasi richiamo di altro genere, apparentemente anche più elevato.
Non fu differente la conseguenza che seguì a un intervento, anche se di altro genere, di un deputato (sempre animale!) eletto in una delle isole che circondano la nostra nazione. Da molto tempo aveva lasciato la terra ferma e il suo domicilio di adozione era legato a quella, isola ovviamente, in cui risiedeva.
Il suo primo intervento ebbe un esordio quanto mai infelice. Per dimostrare la sua solerzia e preannunciando i suoi propositi a favore dei suoi elettori, dopo tanto tempo, disse, sono tornato in continente: mi impegnerò a difendere i nostri diritti.
I deputati che avevano la stessa estrazione geopolitica, si guardarono attorno con comprensibile meraviglia. Non mancò chi, ripetendola, la parola, badò a non farla risuonare come unita, con il suo significato completamente fuori…degli interessi cui intendeva riferirsi il collega. Il problema dell’incontinenza, insomma, non presentava i caratteri dell’urgenza…
Fu annunciato l’ordine del giorno della prossima seduta. Riguardava il tema della fecondazione artificiale, segnatamente quella “in vitro”: avrà la facoltà di parlare per primo l’on. Buttiglione. Ma no, non è possibile! fu il facile commento. Come farà a parlare contro, proprio lui, con quel cognome che la dice tutta?… non poteva esserci scelta più azzeccata o… più sbagliata|
La seduta proseguì, ma l’ eco ingombrante di quel “purtroppo” di inizio di seduta continuava a pesare sull’assemblea, anche se con difficoltà, ma lentamente, tendeva a dileguarsi.
Continua ad aleggiare a conclusione della nostra narrazione, con la sua ambivalenza che si traduce in: purtroppo! (peccato!): ha finito? O nell’altro: purtroppo (finalmente!) ha finito!
In ogni caso, tutto unito nel nome di quel “purtroppo”! purtroppo ambiguo…
Antonio Resta
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