
“LA MOSCA E L’APE” favola di Don Antonio Resta
LA MOSCA E L’APE
I discorsi che facevano gi animali terrestri non è che si differenziassero molto da quelli degli animali che volavano; l’unica distinzione era quella del luogo, costringendo chi li doveva annotare a prenderli, logicamente…al volo.
Fu il caso di una mosca e di un’ape che, incontrandosi, a volo ovviamente, avviarono una conversazione, adatta alla loro condizione di insetti volanti. Fu uno sfogo, di fatto, con sottolineature di quei problemi che accompagnano qualsiasi stato di vita.
Iniziò la mosca, rilevando come la sua vita era un continuo volo, senza una dimora. Vagava per ogni dove, a differenza dell’ape che aveva il suo alveare, una dimora ben precisa, dove era sicura di trovare le altre compagne che lavorano come lei.
L’ape stava a sentire, seguendo il discorso della mosca, approvando con un battito più veloce delle ali quanto l’amica casuale le veniva comunicando.
– Vedo, disse, che il tuo discorso è improntato a un certo pessimismo: se questo è l’inizio, già posso immaginare come sarà la fine!
– Brava! Mi accorgo che sei veramente perspicace, ebbe a dire la mosca, perché le cose stanno proprio così e te ne illustro i motivi.
Anzitutto mi si fa una guerra spietata: mi si vuole distruggere: hanno inventato addirittura, dei preparati chimici micidiali che mi annientano in un attimo: altro che camere a gas del regime nazista!
– Va bene, disse l’ape, ma per esserti così nemici qualche motivo ci sarà: non è che lo facciano così, cervelloticamente, per il gusto di ammazzare: c’è un detto popolare che dice: quello non farebbe male neppure a una mosca: non vi ci trovi una certa ritrosia nel doverlo fare anche a te?
Fai un po’ un esame del tuo comportamento e vedrai che non potrai non riconoscere una certa giustificazione a quanto ti fanno.
– Beh! sì, onestamente, ammise la mosca, qualche cosa a desiderare la lascio, ma purtroppo sono costretta dalle circostanze. Per esempio, per via della mia mancata dimora, sono costretta a saltare di qua e di là. Se aggiungi a questo la necessità di dover mangiare, allora c’è più di un motivo non dico per essere giustificata, ma almeno per essere compresa!
– Ma, disse l’ape, sii sincera e completa la tua esposizione. Sento dire che passi disinvoltamente, appoggiandoti, dallo sterco al pane, dal sudicio al pulito, al dolce e via elencando.
Ti pare che una cosa del genere possa essere accettata, ignorando le conseguenze delle malattie che ne possono derivare?
Senza contare quella che è una delle tue prerogative più irritanti. Sei noiosa, tanto è vero che sei portata ad esempio, poco invidiabile in verità, di questo modo di fare, lasciamelo dire, addirittura odioso: non lo hai sentito mai dire: sei noiosa come una mosca?
Se no, io dico, ti hanno scacciato una volta, basta! No! a ritornarci ostinatamente, noiosamente appunto! E poi ti lamenti.
Ma se lo vuoi proprio!
– Ah! ma io, disse la mosca, non me la faccio passare: anche io ho le mie vendette e me le prendo: non è che subisca tutto supinamente: ho una dignità…moscata anche io!
Ne vuoi sapere qualcuna? Dicevo all’inizio che vado e mi poso dappertutto, purché trovi da mangiare. Lo stesso avviene quando debbo fare i miei bisogni che, peraltro sono proporzionati a quanto mangio, quindi ridottissimi, appena un punto, non più grandi di quello di interpunzione.
Il bello sta proprio qui che qualche volta viene interpretato proprio come tale. Chi ci rimette, a scuola, è il povero alunno, con un giudizio scarso sull’uso improprio di questo segno.
La cosa diventa più grave in altri casi.
Anche uno che non è specialista sa che in musica un punto aggiunto a una nota ne prolunga il valore e la durata.
Pensate un po’ a un compositore che ha completato la sua partitura, magari lasciando sbadatamente il suo scritto su un tavolo: basterebbe che una mosca, così di passaggio, depositasse quanto ha digerito che tutta la composizione ne sarebbe stravolta, non solo tecnicamente.
Peggio ancora se un direttore d’orchestra se la trovasse sulla partitura che ha davanti o un orchestrale sul suo spartito, non c’è bisogno di tanta inventiva per immaginare il disastro contro cui si andrebbe incontro.
Questo, in musica.
Il disastro non è meno catastrofico nel parlare e, quindi, nello scrivere. Non per nulla la Sibilla, quella che veniva interpellata per ricevere una risposta sul futuro, si serviva di questo mezzo che, a seconda della sua collocazione, dava un significato differente alla frase (donde, l’aggettivo “sibillino”).
Vuoi un esempio? Ti potrai rendere conto come un mio atto, così materiale, possa assurgere a un ruolo così determinante.
Domanda alla Sibilla: ritornerò vivo dalla guerra?
Risposta: andrai ritornerai (.) non (.) morirai in guerra: come vedi a secondo di come si colloca il punto, la frase cambia completamente il suo significato.
Un’altra espressione ancora più chiara: la porta sia aperta. non si chiuda a qualsiasi persona onesta: sposta quel punto dopo il “non” e vedrai che significato scappa fuori: la porta sia aperta a tutti. non alla persona onesta.
– Senti, cominciò a dire l’ape. Dopo tutto quello che ho ascoltato, mi spiego come le persone cerchino di tenerti lontana.
Mi sforzo di capirti anche se i nostri stili di vita sono totalmente differenti.
Anzitutto, e la prendo un pochino alla lontana, sono orgogliosa di appartenere a questa mia categoria di insetti, per tante benemerenze, tra le altre, quella di aver prevenuto quanto, soprattutto in campo umano, si è salutata come una svolta epocale. Mi riferisco a quella delle conquiste femministe con cui le donne sono diventate protagoniste nella conduzione e nel contributo allo sviluppo della società.
Per noi, questo problema non è mai esistito, forse addirittura il contrario. Chi è nostro sovrano assoluto non è il maschio, ma la femmina, la figura dell’ape regina, ma regina davvero, sai…come sanno essere le donne quando rivestono una carica di grande responsabilità.
Ci tenevo a dirlo questo perché abbiate a guardarci con maggior simpatia e non solo per quanto di dolce produciamo.
E poi, anche a costo di procurarti qualche delusione sento il dovere di aggiungere che, realisticamente, non mi sento di poterti dare nessun consiglio: la tua natura è quella e non la puoi e, tanto meno, posso cambiartela io.
Pensa un po’, non è poco, mentre tu ti posi su tutto e non ci vuole tanto per indovinare anche i luoghi e i cibi che a noi fanno venire il voltastomaco, io, invece, chiamami fortunata, non ho altro luogo o cibo al di fuori delle corolle dei fiori. Ne suggo l’aroma e, anche se esternamente non si vede, ne mangio i colori.
Proprio, ma solo per questo, un suggerimento semplice sento di potertelo dare. Invece di posarti su ogni elemento e poi restituirlo in quel modo che abbiamo descritto, posati sul mio: so che ne sei ghiottissima e ogni occasione è buona per cibartene. Ti potrai posare, così, su qualsiasi foglio, anche su una partitura musicale, senza lasciare traccia, ma con la certezza che quella melodia non ne soffrirà, anzi continuerà a diffondere un’armonia che sa di pace e di serenità, comunque di dolcezza…
Chi non ne sa l’origine attribuirà il merito tutto a te: te lo lascio con una gioia immensa perché vedo attuato il motto-programma che solo un poeta come Virgilio poteva enunciare con una formula sintetica, ma quanto mai espressiva: vos, non vobis: lavorate, ma non per voi…
Che gioia, cara amica mosca! Arrivederci e buon lavoro…Con l’augurio che possa mangiarne tanto del mio prodotto: diventerai meno noiosa. Ti allontaneremo sempre, ma sapendo che ci priviamo di un motivo musicale che ci solleva.
Pensavo: chi lo sa se il dolce “moscato” non è nato proprio dalla mosca, dalla sua natura in seguito degenerata?
Aggiungo: nel caso, proprio nessuna speranza di recupero?
Don Antonio Resta